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Capire Morgan: Rockol intervista, in una non-intervista, la voce dei Bluvertigo...

“Pronto… Valeria chi? Ci siamo mai incontrati? Sì? E feci un autografo alla tua amica? Scrissi soltanto il mio nome? Già. La gente si scandalizza per nulla, a questo mondo, e si aspetta sempre qualcosa che poi non ottiene. Tutti pensano io sia creativo, ma non lo sono affatto”. Morgan se ne sta – così ci piace immaginare – sprofondato sul retro di una bella automobile, a respirare un po’ d’aria condizionata, unico refrigerio di una giornata bollente. E, abbandonate le carrette improbabili con le quali scorrazzava tra le strade di Monza in gioventù, esordisce al telefono di Rockol con una flebile provocazione. Mai aspettarsi vere provocazioni da una rockstar. Che, come si confà al personaggio, ripete la sua stessa storia all’infinito, in un viaggio lungo l’autostrada del Sole per raggiungere una piccola località vicino a Reggio Emilia, dove il tour dei Bluvertigo fa tappa. Morgan, al primo approccio, fa subito nascere alcuni pensieri nel suo interlocutore; gli stessi che, a volte, ci troviamo per la testa quando vediamo in televisione un animale notoriamente votato come essere orripilante, minaccioso e crudele. Avrò più paura io, o lui? Il gioco delle parole stupefacenti piace a molti, così continuiamo a parlare su un nastro, l’unico aggeggio che mi ricorda, con il suo scricchiolare, il vero motivo di questa non-intervista. La cosa più bella che può capitare a un giornalista. “Mah”, continua la voce di Morgan filtrata da un cellulare, “guarda che l’arte non ha nulla a che fare con la creatività. Il fatto di definirsi creativo incappa in un pericoloso tranello. Quando uno pensa che l’arte si faccia con la creatività, poi è convinto che ogni cosa che produce sia arte. E magari si ritrova a toccare con la mano un vetro appannato lasciando le proprie impronte per poi spacciarlo per opera d’arte. L’arte è un fatto di ingegno, non di creatività. La creatività? Non è un mio pensiero”. Eppure, nel corso dei secoli, molti studiosi si sono sprecati stendendo pagine su pagine, raccolte poi in saggi più o meno deliranti, sul valore dell’espressione artistica, sul moto – innato e spaventevole – che spinge un essere umano a creare, sul valore del bello, del sublime, della perfezione. Ma forse stiamo divagando. Con Morgan, bisognava prevederlo. Il registratore non è necessario. Con uno come lui, sarebbe più utile un bastone per non vedenti, che possa aiutare a ritornare sul giusto sentiero. Una strada – breve e intensa – che ha portato il signor Castoldi a giocare argutamente con gli “attrezzi del pop” a disposizione, che nel suddetto caso ha significato divertirsi con la cultura popolare tangente ricordi antichi e recenti. Molto recenti. Una bambina, Anna Lou, non è uno scherzo; essere padre, neppure. Ti fa provare sensazioni al di fuori di ogni regola; anzi, ti fa sentire “fuori da se”, come incalza Morgan riassumendo in tre parole l’essenza del parto. Creare un figlio forse non sarà come far nascere una canzone, ma qualche analogia ci sarà pure. E per la voce dei Bluvertigo – per sua stessa ammissione – da un mese a questa parte è venuto il momento “di vivere”. “E’ ora di prendere il sole, o magari di prendere le distanze dal sole, come uno preferisce. Pezzi pronti non ne ho, e non ne abbiamo provati durante il nostro tour, perché – come tu sai bene – o si scrive, o si vive. Oggi sto vivendo. E’ un tasto dolente, perché nonostante tutto vorrei sempre pensarmi in attività; però sono contento, perché praticamente non ho mai vissuto, e adesso lo sto facendo per la prima volta. E mi sembra di meritarmelo. Mi occuperò di mia figlia. Per lei voglio la poesia, la musica, la generosità. Le arti, essenzialmente. Il saper apprezzare il bello. Questo riempie il cuore. Per lei ho tradotto ‘Le scene infantili’ di Shumann, un’opera pianistica bellissima scritta per essere suonata sia dagli adolescenti che dai principianti. L’ho messa su computer in una sorta di carillon, che potrà ascoltare la notte”. Morgan, ogni tanto, sembra riporre – ma a distanza sempre accessibile – la maschera che è solito indossare, per lasciarsi andare a concessioni più forti. Il suo ego, a tratti, è trafitto da schegge di sincerità, che assomigliano a quell’ebbrezza raccontata da Baudelaire in “Paradisi artificiali”; in cui venivano descritte ricette ed effetti dell’hashish in pasta, dell’assenzio e dell’oppio, quello stesso che Oscar Wilde amava consumare nella torbida Londra vittoriana. “Quello che funziona sulle grandi masse”, esordisce Morgan cercando di spiegare l’effetto di non-provocazione scaturito da una canzone intitola come il famoso stupefacente utilizzato nelle classi alte di fine secolo, “è la retorica. Credo che il modo in cui io affronto l’argomento droga sia molto più secco rispetto ad altri: poco sentimentale, poco affettato; non prende parte. Il grande pubblico, magari quello che segue Vasco Rossi, non trova questo modo di espressione scandaloso. Io non lo faccio certo per essere scandaloso. E se per Manu Chao questa società ha pensato alla censura, sono allora molto contento che ‘L’assenzio’ non sia stato capito. Per l’ennesima volta preferisco che non mi si comprenda”.
Il video della canzone, girato dalla compagna di Morgan Asia Argento, è infarcito, come un quadro simbolista di Redon, di messaggi non a tutti accessibili. Nel quale il ruolo fondamentale è recitato da Franco Battiato, che si è prestato a rappresentare una sorta di “guru spirituale d’altri tempi” pronto a trasmettere l’arte dell’assenzio. “Si, ho provato l’assenzio”, dichiara – con un filo di timidezza – Morgan. “Ha un sapore di anice, quando lo diluisci. La cosa che mi piace di più non è il gusto, né tanto meno l’effetto. E’ la reazione chimica che scaturisce dalla base dell’assenzio, un liquore verdastro, che a contatto con l’acqua si trasforma in una soluzione lattea. Nel video abbiamo usato dell’assenzio originale, comprato a Berlino. E ce lo siamo pure bevuto!”. La favola di questa conversazione di inizio estate potrebbe forse andare ancora avanti, come recitavano i vecchi vinili di storie musicate popolari negli anni ’70, quando il nastro si arresta. Quasi se un esorcismo aleggiasse nell’aria, la cassetta trancia la voce di Morgan lanciando uno strano scricchiolio, mentre ancora mi sta raccontando della mise del maestro Battiato sul set: il grembiule usato per dipingere. Parole che, dulcis in fundo, placano la sete di verità della mia ultima domanda: “Anche Franco si è concesso un sorso dell’antica bevanda color dell’opale?”.

(Valeria Rusconi)

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